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Racconto pubblicato nel mese di Maggio del 2005 da MARNA EDITORE - COLLANA SENTIERI, esso è un romanzo di 264 pagine |
Il
romanzo si divide in tre parti. La
Prima Parte è ambientata in Calabria, dove
il protagonista ritorna dopo tanti anni di lontananza. Lo fa perché
c’è in lui il bisogno di ritrovare, di incontrare quella parte di sé
che non si è mai staccata dal paese,
da quel mondo dove c’è il ricordo indelebile della sua infanzia,
dove si è formata la sua personalità, quindi gran parte del suo pensare,
dove ci sono le sue radici. Radici che si nutrivano nel terreno della
famiglia, dell’amicizia, nel rapporto diretto con la comunità, con la
vita della terra, delle piante. Pavese
scriveva: “Un paese vuol dire non essere soli, sapere che nella gente,
nelle piante, nella terra c’è qualcosa di tuo, che anche quando non ci
sei resta ad aspettarti.” Nella
Seconda Parte le vicende si svolgono in Brianza, soprattutto nei paesi di
Biassono, Macherio, Sovico, Albiate,
dove il protagonista, ancora assai giovane, emigra, e dove giorno
dopo giorno si troverà a fare i conti con una realtà che non sempre lo
accoglie, che lo considera inferiore solo perché calabrese, che lo porta
a sperimentare il lavoro alienante della fabbrica, ma che allo stesso
tempo gli permette di scoprire e di vivere nuove amicizie, di crescere, di
educarsi a diventare uomo. Nella
Terza Parte, sempre ambientata in Calabria, si conclude la storia, ma non
il viaggio simbolico del protagonista, intrapreso per dare continuità e
forza alla memoria. Memoria che simbolicamente egli consegna ai figli,
Pietro e Maria, che dal Nord si recano in Calabria per andare a
incontrarlo. Vanno anche per conoscere il paese, i luoghi dove il padre è
nato, dove sono nati e cresciuti i loro nonni, e dove sentono esserci
pure le loro radici. Il
romanzo si pone anche come occasione per mantenere vive tradizioni e
culture, patrimonio fondamentale
per salvaguardare l’originalità di ogni popolazione: nel caso
specifico, quella calabrese; per
imprimere maggior forza e
voce a quella civiltà contadina, che è storia di ognuno di noi e sulla
quale si fondano le radici dell’Italia tutta. Ci
ricorda che siamo un popolo
di emigranti, quasi a voler suggerire al lettore di
avvicinarsi al problema dell’emigrazione, diventato attualissimo,
con lo spirito di chi comprende le ragioni di coloro che lasciano la
propria terra, il proprio paese. Si
ferma sulla necessità di custodire e difendere il dialetto ( diverse
parti sono scritti in
calabrese), indicato in un passo del libro come “un canto antico”.
Canto antico attraverso il quale, i personaggi, le vicende narrate,
diventano più vivi, più reali, sono tutt’uno con la gente, i luoghi,
con lo scorrere del tempo. Al
centro di tutto il racconto, poi, c’è l’uomo: l’uomo
che si lascia meravigliare, stupire dalla vita, che ama
abbandonarsi alle favole, l’uomo desideroso di giustizia, l’uomo che
cerca il riscatto sociale attraverso la scuola, che concepisce il
sacrificio come cammino educativo, l’uomo che ama l’amicizia, che ama
perdonare, che cerca di difendere la propria identità, che riflette sul
corso del suo vivere e perciò impara riconoscere i suoi limiti. In un
passo del romanzo si legge: “…Quando siamo giovani ci pare che il
mondo è tutto nostro, che a nessuno dobbiamo dare conto; quando poi,
giorno per giorno arriva la vecchiaia, ci accorgiamo che siamo niente, che
siamo come panni stesi al vento…”
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Nota dell’autore Perché
si rimpiange il tempo dell’infanzia? Eppure tutti vediamo come una
realizzazione e una conquista la nuova situazione creata, le cose fatte,
il progresso ottenuto, il benessere conseguito. Perché in quel tempo c’è il mito indelebile della personalità formata su un’esperienza di vita, da cui dipende gran parte del nostro pensare. Il vincolo che si generava tra l’uomo e l’ambiente, permetteva al ragazzo di entrare in contatto con valori, conoscenze, problemi, realtà concrete che lo facevano uomo molto presto. Le sue radici si nutrivano nel terreno della famiglia, nel rapporto diretto con la comunità, con la vita della terra, delle piante. Da queste radici, gli uomini di questa epoca, hanno preso quella misteriosa forza che ha permesso loro di realizzare cose meravigliose, di superare difficoltà, a volte terribili, di sviluppare cose mai viste. A queste radici, oggi, è costantemente rivolta la loro malinconia. Vedono infatti questo mondo, che hanno contribuito a creare, assai debole e fugace, incapace di difendere perfino la loro memoria. In questo mondo, sovente si sentono estranei. Allora, il richiamo alla fanciullezza, che il lettore, in questo mio libro, incontra fin dalle prime pagine, quel soffermarmi sui ricordi, non è altro che il bisogno di difendere quella esperienza, di comunicarla, anzi di consegnarla a coloro che nel futuro difficilmente comprenderebbero uno strappo così violento da una terra, da una comunità, da una storia. Resterebbero, secondo il mio modesto pensare, senza radici, senza una memoria, quindi, senza una continuità vitale, senza un senso. La vita, oggi così soggetta a continui mutamenti e così labile, ha bisogno di un pensiero che la fissi, che la sottragga alla fiumana del tempo, per garantire all’uomo la continuità della sua memoria nelle generazioni. Oggi basta così poco tempo per togliere da ogni orizzonte la memoria dell’essere umano.
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