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Racconto pubblicato nel mese di Ottobre del 2012 da PELLEGRINI EDITORE , esso è un romanzo di 239 pagine |
Prefazione Semplicità
e
immediatezza
di
linguaggio,
narrazione
colloquiale
che
non
disdegna
momenti
di
autentica
tensione
lirica,
temi
che
si
innestano
sulla
memoria
dell'infanzia
e
della
giovinezza
o
sulla
lettura
di
autori
cari
allo
scrittore,
esperienze
e
vicende
i
cui
temi
oscillano,
con
ritmo
binario
senza
necessariamente
finire
su
sviluppi
paralleli
e
convergenze
impossibili,
tra
militanze
sociopolitiche
e
meditazioni
personali,
tra
ieri
ed
oggi,
tra
vecchi
e
giovani,
tra
padri
e
figli.
Ecco
perché
questo
libro
mi
affascina.
Suo
tema
numero
uno
è
la
ricerca
del
senso
della
vita,
quindi,
la
domanda
su
Dio
e
del
significato
dei
valori
che
danno
sapore
al
vivere
e
alle
sue
battaglie,
anche
quella
contro
la
morte.
Il
tutto
in
un
orizzonte
che
si
allarga
e
si
restringe
continuamente,
a
seconda
dei
personaggi,
sotto
un
cielo
di
domande
e
desideri
di
verificarne
le
risposte,
su
una
terra
che
potremmo
sintetizzare
con
i
grandi
binomi
dell’arte
e
della
cultura
come
“campagna-
città”
,
“civiltà
contadina
e
mondo
industriale”
,
“Sud-Nord”,
“passato-
presente”. Dominante
resta
il
pensiero
che
desidera
e
domanda
di
comprendere
la
vita,
gli
affetti,
i
rapporti
personali
e
sociali,
la
morte.
La
parola
“
pensiero”
ricorre
continuamente
nel
testo,
molto
spesso
come
sinonimo
di
ragione,
tensione
ad
andare
oltre,
desiderio
di
“luce”
(un’altra
delle
parole
più
ricorrenti).
Non
voglio
con
questo
mettere
Vincenzo
nella
nicchia
di
chi
giocando
all’intellettuale
resta
nelle
sue
elucubrazioni
filosofiche
lontane
dalla
realtà
e
dalla
vita
quotidiana.
Tutt’altro. Il
procedere
del
nostro
autore
è
quello
dei
genitori
di
Rocco,
personaggio
principale,
alter
ego
dell’autore.
È
la
vita
di
un
padre
e
di
una
madre,
contadini
attaccati
alle
cose,
immersi
nel
sano
realismo
degli
uomini
della
terra,
emigrati
al
Nord,
impegnati
a
fare
i
conti
con
un
nuovo
impatto
socioculturale,
senza
perdere
dignità
e
libertà
.
La
mamma,
nonna
Caterina,
in
questa
prospettiva,
è
il
personaggio
a
mio
parere
più
significativo,
perfettamente
riuscito.
In
lei
il
“pensiero
dominante”
gronda
sapienza
popolare,
attaccamento
al
bello,
al
vero
e
al
giusto:
è
umano
equilibrio.
Nel
suo
dialetto
c’è
l’essenzialità
delle
domande
e
l’affezione
alle
risposte
che
la
tradizione
consegna
a
Rocco
e,
tramite
questi,
alla
figlia,
che
non
per
nulla
si
chiama
Caterina.
Se
Rocco
è
l’uomo
inquieto,
colui
che
nella
crisi
fa
l’altalena
tra
antiche
certezze
e
dubbi
moderni,
la
nonna
Caterina
è
signora
che
inventa,
verifica
e
sviluppa
una
sintesi
personale
tra
ieri
(civiltà
contadina)
ed
oggi
(
società
dei
consumi
e
look
televisivo),
che
vorrebbe
lasciare
come
eredità
al
figlio
e
alla
nipote.
La
figlia
Caterina,
invece,
è
la
ragazzina
acqua
e
sapone
che
resiste
alle
lusinghe
del
consumismo,
delle
mode
e
dell’amore
facile
e
si
prepara
ad
educare
i
figli
con
le
stesse
virtù
della
nonna
e
del
padre.
Tutti
e
tre
sono
personaggi
che
si
muovono
con
dignità,
nel
loro
quotidiano,
pieno
di
piccole
autentiche
cose
e
di
minute
vicende
di
gente
semplice,
ricco,
però,
di
nostalgia,
di
sogni
e
speranze,
di
domande
aperte
e
tentate
risposte
. In
questo
procedere
rilevante
è
il
confronto
che
Rocco
fa
con
gli
autori
e
le
loro
opere
che
documenta
la
passione
di
Vincenzo
per
la
lettura
e
nello
stesso
tempo
apre
un
sipario
sul
senso
che
ha
per
lui
lo
scrivere.
Un
dialogo
tra
gli
amici
di
Caterina
sul
finire
del
romanzo
è
esemplare
al
riguardo:
«Un
libro
non
muore
mai.
Anche
se
dovessero
bruciarlo,
continua
a
vivere
nell’animo
dei
suoi
lettori.»
«Ha
ragione»
interviene
Karim.
«Anch’io
ho
tanti
libri
e
ognuno
di
quelli
che
ho
letto
vive
dentro
di
me.
»
«In
che
modo?»
chiede
curiosa
Loredana.
«Come
dirti?...
Proprio
in
questi
giorni
ho
terminato
di
leggere
un
libro
su
una
ragazza
afgana.
La
sua
storia
rimarrà
in
me,
perché
mie
sono
le
sue
battaglie
per
i
diritti
delle
donne,
perché
mio
è
il
suo
grande
desiderio
di
libertà.
E
poi…
e
poi
i
grandi
libri
ci
parlano
della
vita
e
dell’animo
dell’uomo,
ci
interrogano
su
quello
che
è
il
nostro
destino
ultimo,
ossia
la
morte.»
A
questo
punto
occorre
evidenziare
che
proprio
la
morte
è
l’argomento
che
muove
e
agita
la
ricerca
di
Rocco.
Riporto
una
breve
sequenza
sul
finire
della
narrazione:
“Ma
cosa
c’è
dopo
la
morte?”
si
chiede
nel
pensiero.
“La
foglia
è
morta
per
irrobustire
l’albero
e
dare
nuova
vita.
E
noi?” Alcuni
giorni
fa
è
morto
un
suo
conoscente,
un
calabrese
pure
lui.
L’aveva
visto
sorridere,
accendersi
d’amore
e
di
passione
quando
parlava
della
sua
Calabria.
“Dove
sono
ora
il
suo
pensare,
la
sua
sapienza,
l’amore
per
i
libri,
la
letteratura,
la
voglia
di
conoscere,
i
suoi
sogni?” Dando
le
spalle
alla
finestra,
osserva
i
numerosi
volumi
nella
libreria.
Ne
ha
letti
tanti…
Nemmeno
in
essi
è
riuscito
a
trovare
risposta
a
questa
sua
domanda
e
a
quelle
di
sempre. Dal
di
fuori
giungono
le
voci
dei
due
nipoti
della
Antonietta.
Si
volta
e
li
vede
vicini
al
ciliegio
con
le
braccia
alzate
nel
tentativo
di
acchiappare
alcune
foglie
che
lentamente
scendono.
Il
più
grande
riesce
ad
afferrarne
una
e
contento
grida:
«Nonna,
l’ho
presa,
l’ho
presa!» L’altro,
con
le
gambette
che,
mentre
si
muove,
sembra
vogliano
andare
per
proprio
conto,
cerca
con
le
piccole
mani,
di
agguantarne
anche
lui
qualcuna.
Vi
riesce
e
ride
contento,
poi
ne
vuole
un’altra,
e
un’altra
ancora. Viene
raggiunto
dal
fratello
e
insieme
corrono,
tentano
di
afferrare
nuove
foglie.
Poi,
con
gli
occhi
verso
l’alto
e
le
piccole
braccia
alzate,
ne
aspettano
delle
altre,
e
il
loro
gioco
continua.
“Signore,
io
forse
non
troverò
mai
una
risposta
assoluta
alle
mie
domande,
ai
miei
dubbi
e
ai
miei
perché.
Tu
però
continua
a
non
privare
il
mio
sguardo
di
queste
immagini.” Effettivamente
Rocco,
a
differenza
della
nonna,
non
trova
una
risposta
convincente.
Tuttavia
fa
una
scelta.
L’autunno
sta
finendo,
le
foglie
cadono,
l’inverno
avanza
e
davanti
all’angoscia
della
domanda:
“Credi
che
torneremo
in
primavera?”,
rifiuta
sia
nichilismo
sia
il
relativismo,
non
approfondisce
l’ipotesi
della
nonna,
opta
però
di
continuare
ad
amare
la
vita
nella
sua
interezza:
Emette
un
sospiro.
Poi
sussurra:
«Nipote
mio,
io
non
tornerò
a
primavera.
Tu
però
continua
scrivere
altre
pagine
di
questa
vita,
che
ha
origini
lontane,
nel
tempo
infinito,
che
mi
hai
fatto
sentire
ieri
mentre
mi
sorridevi,
mi
guardavi,
che
è
rifluita
nel
mio
sangue,
quando,
desideroso
di
alzarti,
con
la
tua
piccola
mano,
forte
ti
sei
aggrappato
al
mio
dito
…
Forse,
un
giorno
assai
lontano,
ci
incontreremo.
Non
so
dove,
magari
in
un
cielo
pieno
di
stelle
o
in
un
prato
tutto
fiorito.
Intanto,
però,
tu
osservala
questa
vita
e
ascoltala.
Osservala
e
ascoltala
con
gli
occhi
che
ti
legano
a
noi
tutti,
a
me,
alla
nonna,
a
tua
madre,
a
tuo
padre,
ai
miei
nonni,
ai
miei
genitori
e
ai
tanti
altri
volti
venuti
prima
di
noi.
Noi
siamo
solo
minuscoli
granelli
di
sabbia
che
si
perdono
nell’eterno
infinito
scorrere
del
tempo.
Non
lo
dimenticare
mai.»
Amore
che
ribadisce
a
chiusura
del
romanzo:
Per
qualche
attimo
ancora
ferma
gli
occhi
sui
quei
libri,
poi,
con
movimenti
pacati,
come
a
indicare
che
anche
in
quei
gesti
vi
sia
il
prosieguo
della
vita,
si
mette
a
sistemare
dei
volumi
messi
alla
rinfusa.
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